Alchimia dell’anima: crollo, luce, fiamma.
Autoanalisi e riflessioni a partire da Gabriella Tupini.
Ho incontrato le parole di Gabriella Tupini per caso, o almeno così sembrava. Ma subito mi sono resa conto che non si trattava affatto di un incontro qualunque. Le sue parole non si sono fermate al livello della razionalità, come fanno tanti discorsi che ascoltiamo e dimentichiamo in fretta. No. Le sue parole mi hanno attraversata. Hanno scavalcato le difese della mente e sono scese più giù, in zone dimenticate o appena accennate della mia anima. Zone dove qualcosa ha cominciato a vibrare, a risvegliarsi. Non è stato tanto un capire, quanto un sentire profondo. Un riconoscimento immediato. Come se quello che diceva non lo stessi ascoltando per la prima volta, ma lo stessi ricordando.
Da questa esperienza così intensa è nato il desiderio di raccogliere, riordinare, e portare alla luce i contenuti dei suoi video. In questo spazio, con lentezza e rispetto, riassumerò i suoi primi interventi continuando dal 33esimo fino al 36esimo e cercando di restituire il nucleo vivo del suo messaggio, senza snaturarlo.
Ma non mi fermerò lì. Accanto ai riassunti, intreccerò riflessioni personali, esperienze, intuizioni e autoanalisi. Perché le parole di Gabriella non parlano solo in astratto: chiedono di essere incarnate. Voglio provare a farle passare attraverso di me, metterle in dialogo con la mia storia, con le mie ferite, i miei condizionamenti, la mia ricerca. Non come un esempio da seguire, ma come una traccia da percorrere insieme, se vorrete.
Riassunto della Grande Opera divisa dalla Dottoressa Tupini in Opera al Nero, Opera al Bianco ed Opera al Rosso.
OPERA AL NERO (33)
Gabriella prosegue il suo discorso sulla Grande Opera, concentrandosi in particolare sull’Opera al Nero, che rappresenta la fase più difficile e fondamentale del percorso alchemico e spirituale. Precisa subito che la Grande Opera non è l’unica via possibile: è una via per pochi, una direzione profonda, potente, ma non adatta a tutti, e ciascuno deve trovare la propria strada interiore, senza che nessuno possa indicarla dall’esterno.
L’Opera al Nero è il crollo della mente condizionata, cioè di tutto ciò che abbiamo costruito nella nostra testa per sopravvivere: schemi, illusioni, ruoli, credenze. Quando questa mente cade, non ci si sente liberati subito, ma anzi si entra in una fase di tristezza, di vuoto. È il cosiddetto “deserto” spirituale, come le paludi della tristezza nella Storia Infinita. Non è più l’angoscia dell’ego, ma una malinconia sottile e dolce, come se nulla avesse più senso.
In questo passaggio, l’astrale negativo si risveglia e cerca in tutti i modi di trattenere la persona, di non farla evolvere. Attacca nei sogni, nella realtà, nei pensieri. Può indurre senso di importanza, narcisismo spirituale, convinzioni deliranti come “sono stato scelto da Dio”, “sono il nuovo Cristo”, “ho un compito per l’umanità”. In realtà, sono trappole dell’astrale per isolare e divorare la persona, usando l’illusione del sacrificio come forma di energia. Racconta l’esempio concreto di un uomo con capacità medianiche reali, che attirava persone perché sapeva dire cose vere, ma alla fine si convinse di essere la reincarnazione di Cristo e si lasciò andare nel dolore e nel pianto. Era evidente che l’astrale negativo si era impadronito di lui, usandolo come canale e poi facendolo crollare sotto il peso del martirio.
Questo è un monito forte: non basta avere dei doni, serve un radicamento profondo nell’anima, un lavoro autentico su di sé, per non finire divorati da ciò che dovrebbe solo essere uno strumento di consapevolezza. L’Opera al Nero è dura, è lunga, è pericolosa, ma è la porta attraverso cui l’anima si libera dalla mente falsa. E solo oltre quel passaggio si può davvero parlare di magia vera, cioè connessione con l’anima del mondo, non illusione di potere.
Gabriella riprende il discorso sull’Opera al Nero, la prima fase della Grande Opera alchemica, sottolineando come, per chi proviene da una cultura cattolica o ne è stato influenzato, sia estremamente difficile abbandonare l’idea del sacrificio. Il sacrificio, nella nostra cultura, è una forma di rassicurazione: se mi sacrifico, penso che nulla di male mi accadrà, perché compiaccio Dio o il destino. Per descrivere la fine dell’Opera al Nero, Gabriella cita due immagini forti: nel libro di Castaneda, i protagonisti si gettano nell’ignoto da una rupe, mentre nel film La montagna sacra, il cercatore taglia una parete di carta e si lancia nel vuoto. Queste immagini simboleggiano il salto nel vuoto interiore, cioè la scelta di abbandonare ogni certezza mentale e gettarsi in una nuova dimensione, affidandosi solo al proprio io interiore. È un momento di solitudine totale, ma anche di verità. Durante questa fase, l’astrale negativo si attiva con forza. È descritto come un’entità composta da tutte le emozioni e le energie distruttive di chi ha perso la propria anima, diventando un aggregato malvagio e autonomo. Il suo scopo è nutrirsi del dolore altrui, ingannando, illudendo, isolando.
Questa entità non va confusa con la semplice aggressività umana: l’astrale negativo gode nel far soffrire per il gusto di farlo, senza giustificazioni difensive. Una delle armi più subdole dell’astrale è far credere di essere “designati”, “scelti”, “messia”, spingendo così le persone all’isolamento e alla follia. Non basta avere un credo per difendersi: l’astrale lo sfrutta. Serve una forza interiore più profonda, che nasce da un desiderio autentico di verità. Solo quando si resta saldi su questo desiderio, l’astrale si ritira, capendo che non può più ingannare.
Gabriella rifiuta l’idea che il male sia necessario per l’equilibrio dell’universo, definendola un’invenzione della mente che cerca spiegazioni.
Ammette: “sì, il male esiste, ma perché esiste, non lo sappiamo. Forse, come diceva Sant’Agostino, nasce dall’ignoranza: dalla mancanza di coscienza. E quanto più si acquisisce consapevolezza, tanto meno si desidera il male.”
L’uscita dall’astrale negativo avviene quando si smette di identificarsi con le illusioni della mente e si sceglie finalmente la propria via autentica. Anche se non si è scelti alla nascita, ad un certo punto la scelta diventa possibile. E questa è libertà. Nel momento in cui si abbandona il mondo conosciuto per avventurarsi nell’ignoto, si compie un gesto che la mente condizionata percepisce come una morte, ma che in realtà rappresenta l’accesso alla vera vita. È un passaggio radicale in cui crollano tutte le certezze, anche le credenze più intime: non solo la religione o Dio, ma anche le idee di magia, di destino, di senso. Tutto ciò che non è stato realmente sperimentato, ma solo creduto, si dissolve. E non sarei riuscita a spiegarlo meglio. Gabriella a questo punto continua il suo video raccontando come si sentiva in quel momento ed è proprio come mi sono sentita io. Si sentiva come immersa in un deserto esistenziale: stanca, disillusa, priva di stimoli, ma, nel cuore di quella apparente morte, è sopraggiunta una consapevolezza fondamentale: non tutto era illusione. Alcune esperienze magiche, vissute realmente, avevano lasciato tracce concrete e vere. Ed è proprio lì che nasce la rinascita: nella consapevolezza che, spogliata la mente delle sue fabbricazioni, ciò che resta è ciò che si è davvero vissuto. Questo è l’inizio dell’Opera al Bianco, la fase lunare, in cui ritorna la magia, ma in una forma più vera e profonda, non più filtrata dalla mente. Si sviluppa un sentire intuitivo, un collegamento sottile con il passato, con simboli, luoghi, civiltà che risvegliano emozioni profonde, come la nostalgia per epoche antiche.
Gabriella mette però in guardia dalla ricerca forzata delle reincarnazioni passate: spesso si cade nell’illusione dell’ego, convinti di essere stati sacerdotesse, regine, figure potenti. La verità, invece, è più umile, e quasi sempre più dolorosa. Non serve ricordare il passato per evolvere: serve sentire e sintonizzarsi con ciò che risuona autenticamente.
La Luna rappresenta l’ingresso nel mondo della magia vera, quella che non si sceglie ma accade, perché emerge da una connessione profonda con l’atmosfera, la natura, i ritmi dell’anima. Le antiche civiltà lunari, guidate dal femminile, vivevano immersi in questa connessione: prendevano decisioni, si muovevano, costruivano, combattevano in base al sentire magico, non alla logica o al potere. In questo stato, la magia non è più un’illusione, né un mezzo di potere: è una forma di conoscenza sottile, naturale, che non si impone ma si rivela. È la manifestazione di un’anima liberata dalla mente, capace di sentire il mondo e agire con esso, non sopra di esso.
La magia nelle società originarie era vissuta non come superstizione ma come una forma naturale di relazione con il mondo. Veniva usata per curare, per tenere unito il gruppo, per collegarsi agli antenati, che erano visti come presenze ancora vive, in grado di aiutare i vivi. Era un linguaggio animico, collettivo e concreto, parte della vita quotidiana. Gabriella chiarisce comunque che la magia non è per tutti, nel senso che non tutti sono portati a praticarla, ma non dovrebbe disturbare nessuno che sia in equilibrio con sé stesso. Se l’idea di un mondo abitato da presenze, spiriti o energie disturba qualcuno, è spesso per pregiudizio o per la paura di uscire dai confini della razionalità dominante. Ma se chi ne parla appare sereno, coerente, sano interiormente, allora forse c’è qualcosa da ascoltare.
“Guardate chi ve lo dice”, è la sua esortazione ed anche la mia.
Cita anche una parabola sulla bontà vera attraverso l’esempio dell’imperatore Traiano, noto per la sua giustizia e generosità. Nonostante alcuni ne abbiano sospettato un secondo fine, Volterra risponde con ironia che, se anche fingesse, “che Dio ci mandi sempre carogne così”. Il messaggio è che la bontà non si può fingere a lungo: la verità traspare nei comportamenti, nella semplicità, nella coerenza quotidiana.
Infine, Gabriella invita a diffidare dell’esaltazione, di chi parla con troppa enfasi di eventi straordinari, e invece a fidarsi delle persone semplici, non semplificate, ma autentiche. Conclude dicendo che la riflessione sull’Opera al Bianco, la fase lunare, proseguirà alla prossima occasione, lasciandoci con un messaggio sottile ma chiaro: la magia non è altro che il contatto intimo con la vita reale, quando la mente smette di distorcerla.
OPERA AL BIANCO (34)
In questo nuovo intervento, Gabriella prosegue il suo discorso sulla Grande Opera, concentrandosi in particolare sull’Opera al Bianco, la seconda fase del percorso alchemico/spirituale, e sulle predisposizioni individuali alla magia. Alcune persone, oggi come un tempo, hanno predisposizioni naturali verso il mondo magico. Un tempo erano le sacerdotesse o oracolanti, che operavano in vari ambiti: predizioni, protezione dei viaggiatori e dei guerrieri, fertilità dei raccolti. Oggi, queste sensibilità si ritrovano in alcune figure moderne (cartomanti, rabdomanti, sensitivi) che spesso appaiono eccentriche, ma che si riconoscono per la loro bontà d’animo, per il fine positivo delle loro azioni. Alcuni sono veri medium, canali tra mondi, ma sono pochi e in genere non cercano visibilità. Gabriella sottolinea che non tutti devono praticare la magia, ma tutti dovrebbero cercare di vedere il mondo per com’è davvero, liberandosi delle illusioni mentali. Alcuni scelgono poi di usare la magia anche per scopi collettivi, come guarigione o rigenerazione del pianeta (es. il buco dell’ozono), anche se non è detto che funzioni.
“Dipende da come lo fanno”.
Si torna poi al cuore del discorso: l’Opera al Bianco, che non è un idillio, ma un passaggio interiore nel regno lunare. La Luna, infatti, illumina il buio, ma senza cancellarlo: lo rende visibile. Il suo è un chiarore tenue, che non acceca, ma rivela ciò che normalmente resta nascosto, l’inconscio, le emozioni profonde, le presenze sottili. È il mondo della magia, che si apre solo dopo aver attraversato il buio dell’Opera al Nero.
Gabriella nota come il nostro umore cambia con la luce: di giorno siamo più razionali, solari, estroversi; la sera, col buio, emergono parti più profonde, intime, a volte sofferenti. Infatti ripeto sempre che io nella notte riesco ad immergermi nei meandri di me, precisamente in piena notte quando diluvia e c’è il temporale. Lo stesso vale per le stagioni: in autunno e in inverno si è più introspettivi, in primavera e estate più esteriori. Alcuni amano la luce, altri il buio: chi ama il buio spesso ha sofferto nel contatto col mondo esterno, e nella notte si sente più protetto, più libero da sguardi e giudizi.
L’Opera al Bianco è l’inizio di un contatto con l’altra dimensione, con il mondo invisibile e magico, che non ha nulla a che fare con illusioni ma con una diversa percezione della realtà. È un cammino sottile, sensibile, riservato a chi è disposto ad ascoltare la notte, a guardare con occhi nuovi. È la fase di risveglio della percezione magica: si comincia a intuire l’esistenza di presenze sottili, spiriti della natura o dell’invisibile, e si apre un canale con realtà normalmente impercettibili. Questo non significa contattare subito il mondo dei morti, che resta una questione più delicata, ma avvertire la vita invisibile nel mondo visibile, una realtà altra che si manifesta anche attraverso la sensibilità alla Luna. Gabriella collega questa visione al fatto che le società matriarcali erano tutte lunari, mentre le società patriarcali si affermarono con il culto solare, che oscurò la dimensione della magia e della spiritualità istintiva. Cita Akenaton, faraone egizio che impose il culto del dio Sole abolendo gli altri dei, come primo esempio di monoteismo. La sua riforma fu poi cancellata: il ritorno agli dei fu un ripristino della libertà spirituale.
Arrivata al Medioevo, osserva come l’avvento del cristianesimo coincida con un’epoca buia, di paura, repressione e controllo, soprattutto verso i culti antichi ancora praticati nelle campagne. In particolare, la figura di Diana, dea lunare, rimase centrale nei culti popolari e segreti fino alla feroce repressione operata dalla Santa Inquisizione. Gabriella denuncia il modo in cui l’Inquisizione, bruciando migliaia di donne accusate di stregoneria, ha spazzato via la trasmissione della conoscenza magica e della medicina naturale, fino a estirpare la magia dalla memoria collettiva.
Sull’Inquisizione e le streghe potrei approfondire tantissimo, sono sempre stata una super fan di tutto quello che girava attorno al mondo occulto, ma per ora non mi espongo.
Gabriella continua il suo video citando Paracelso, medico e filosofo del Cinquecento, che per costruire la sua medicina non si affidò agli accademici, ma andò a imparare dalle donne delle campagne, custodi della conoscenza delle erbe e dei simboli. La religione cristiana ha imposto il dominio del Dio Padre, basato sulla colpa, sul sacrificio e sulla punizione, negando il principio femminile, la magia, e il desiderio di conoscere. L’esempio dell’Eden (dove Adamo ed Eva vengono puniti per aver cercato la conoscenza) è per lei emblematico: il divino viene mostrato come nemico dell’intelligenza, della scoperta, della libertà. E il Cristo, figura di amore e conoscenza, viene invece sacrificato in modo terribile, come fosse la garanzia della “bontà” divina. Ricorda anche l’immagine della Porta Magica di Piazza Vittorio a Roma, scolpita dal Marchese di Palombara, che fu iniziato all’alchimia e lasciò incise frasi e simboli a futura memoria. Simboli come il corvo (Opera al Nero) e la colomba (Opera al Bianco) rappresentano le trasformazioni interiori. E quando si capovolge il cielo e la terra, come avviene in certi sogni, si capisce che la spiritualità vera non è sopra di noi, ma dentro e sotto di noi, nella terra, nel corpo, nella natura, non nell’astrazione mentale.
L’Opera al Bianco, dunque, è la riscoperta del sentire magico, della poesia del mondo, della spiritualità incarnata. Un passaggio sottile ma potente, che restituisce all’anima la sua capacità di vedere ciò che è stato nascosto e represso.
Gabriella riflette anche sul sesso, la sessualità consapevole, il superamento dell’istinto della specie e il ruolo della Chiesa e del patriarcato nel reprimere il piacere, in particolare quello femminile. Parte dalla capacità maschile di fare l’amore senza eiaculare, una pratica antica, descritta anche nel Tao dell’amore. Non si tratta di una tecnica mentale o meccanica, ma di una trasformazione profonda dell’energia sessuale, che avviene solo quando si supera la funzione riproduttiva del sesso, cioè l’istinto della specie. È un livello di consapevolezza in cui l’orgasmo maschile non coincide con l’eiaculazione, e dove anche la donna partecipa senza più desiderare la “presa” del seme, una forma di amore sacro e non possessivo. Fa un confronto con la pratica dell’Ogino-Knaus, il metodo “naturale” di controllo delle nascite accettato dalla Chiesa, notando con ironia come, dopo aver proibito ogni forma di controllo sessuale, il Vaticano abbia accettato almeno questo compromesso. Eppure, la repressione del piacere sessuale è rimasta alla base della cultura cattolica, che ha etichettato il sesso come “peccato”, soprattutto quando vissuto liberamente. Gabriella sottolinea che non c’è nulla di male nel sesso, anche se vissuto con persone al di fuori di una relazione stabile o attraverso la prostituzione, purché non ci sia sfruttamento, e la scelta sia libera.
La condanna morale non ha senso: il sesso è naturale, e lo stigma è un costrutto culturale. E questo argomento, con i miei commenti, lo riprenderò nei suoi video successivi dove approfondirà il tutto. Tutto ovviamente gira intorno alla paura maschile della donna libera: l’uomo teme che una donna sessualmente autonoma possa confrontarlo con altri uomini e preferirli, e quindi teme il tradimento, l’abbandono. Per questo, spesso, cerca di reprimere la libertà femminile, anche con il disprezzo o l’umiliazione. Ma la vera forza femminile non sta nel confronto col maschile, bensì nella capacità creativa, nutritiva, nel legame profondo con la terra e con il corpo, non con la mente.
L’Opera al Bianco è l’opera della Luna interiore, che non è solo l’astro nel cielo, ma l’archetipo della madre, e quindi della magia naturale, dell’intuizione, della creazione che avviene nel silenzio e nel buio fertile. La natura non è solo meccanismo, ma è animata, viva, cosciente, capace di trasformazioni improvvise, quelli che la scienza chiama “salti evolutivi” e che qui vengono letti come atti magici del genio della specie, la forza invisibile che custodisce la vita. Questo “genio” non è spiegabile razionalmente, ma è percepibile entrando nella dimensione lunare.
Gabriella denuncia la disconnessione moderna dalla natura vivente: dice che le piante e gli animali sono esseri senzienti, e che il nostro non vederli come tali deriva dal bisogno di giustificare le violenze che infliggiamo loro. Abbiamo perso la capacità di immedesimarci negli altri, e invece di relazionarci con le persone e le creature reali, ci proiettiamo su figure mentali e ideali: politici, star, personaggi famosi, immaginati e mai davvero conosciuti. La caduta della mente illusoria (Opera al Nero) apre alla visione del mondo com’è davvero, e non come ci è stato raccontato. È come svegliarsi in un mondo magico e pulsante, animato da esseri reali, non tutti buoni, ma vivi, pieni di mistero, come nelle fiabe. Un mondo simile all’Arcadia, simbolo mitico di armonia tra uomo e natura, ma con ombre e pericoli inclusi – perché, dice Gabriella, anche lì l’astrale negativo esiste. Vedere la realtà invisibile, liberarsi dai falsi sé, scoprire che il mondo è animato, e iniziare a vivere nella verità del sentire profondo, nel rispetto di ogni forma di vita.
Alla fine, accenna che rimane l’Opera al Rosso, che conosce solo in parte, lasciando intendere che sarà oggetto di una futura riflessione, ma un video chiarissimo comunque lo ha pubblicato ed è il seguente, numero 35.
OPERA AL ROSSO (35)
Gabriella introduce l’Opera al Rosso, la terza fase della Grande Opera alchemica, spiegando che non l’ha ancora completata del tutto e che non sa nemmeno se si possa davvero “finire”, perché è un processo di trasformazione continua. Prima di parlarne approfonditamente, si sofferma sul mito di Cerere e Proserpina, a cui aggiunge ora la figura di Dioniso. Dioniso è la trasformazione dell’io primitivo, caprino e oscuro, in un io trasfigurato, luminoso, sensuale e legato alla natura. È figlio della luna, cioè di Semele, che viene assunta in cielo con corpo e anima, immagine che la Chiesa cattolica ha ricalcato nell’Assunzione di Maria, svuotandola del suo significato originario. Dioniso rappresenta l’ebrezza mistica, la liberazione dall’io rigido, il contatto con le forze vitali e invisibili della natura, mentre Cerere e Proserpina sono due volti dello stesso femminile, madre e figlia, vita e morte, Dioniso è la sintesi alchemica che nasce da questa unità.
I miti antichi, nati in epoche in cui l’anima era ancora in contatto diretto con la natura e il mistero, contengono una saggezza profonda, che il patriarcato ha poi stravolto rendendoli strumenti di potere e di controllo. Tornare ai miti originari è un modo per riavvicinarsi all’anima e prepararsi al fuoco trasformativo dell’Opera al Rosso. Ed è proprio un interesse interno che scatta in automatico, non servono linee guida imposte, solo comprendere di cosa si sta parlando sentendolo dentro. I passaggi tra le fasi della Grande Opera non sono netti ma sfumati: il rosso, simbolo dell’istinto e della passione, è la fase successiva dopo il bianco. Il colore rosso è legato alla vitalità, al desiderio, alla carne, al contrario del giallo solare, e viene spesso frainteso dagli alchimisti tradizionali.
L’Opera al Rosso è connessa all’istinto, ma soprattutto al cuore, al sangue, al calore dell’amore autentico. Quando si apre il cuore, inizialmente emergono emozioni potenti, anche dolorose, legate alla mancanza d’amore vissuta nell’infanzia. L’amore, per essere reale, deve essere reciproco, soprattutto nei rapporti di coppia; quello dei genitori per i figli, invece, è un amore incondizionato e prioritario. L’Opera al Rosso porta alla compassione e alla benevolenza, ma non significa amare tutti indistintamente: è una sensibilità che si espande gradualmente, portando a identificarsi con gli esseri più deboli, spesso anche con gli animali. Chi arriva a questa fase non riesce più a mangiare carne, non per giudizio ma per empatia profonda. Tuttavia, si comprende che chi non è ancora a quel punto non è da condannare, ma da comprendere. La consapevolezza, infatti, può essere informativa o interiore. Alcuni amano gli animali ma disprezzano gli esseri umani; altri evolvono anche spiritualmente, entrando in una relazione più ampia con tutto il vivente. Anche gli animali, vivendo vicino a persone consapevoli, si evolvono, come dimostrano antiche pratiche dove gli animali più vicini all’uomo diventavano capibranco per esperienza e sensibilità.
Nell’Opera al Rosso si manifesta l’apertura del cuore con un flusso emotivo intenso e profondo, che non ha nulla di sdolcinato né di sacrificiale. Non si tratta necessariamente di diventare “buoni” secondo l’idea tradizionale (es. fare beneficenza o imitare modelli come Madre Teresa), ma di sviluppare una sensibilità autentica e naturale verso tutti gli esseri viventi.
In natura, spesso il capobranco non è il più forte ma il più esperto, come accade nei lupi, dove la leadership può anche essere femminile. Questo principio riflette anche la trasformazione interiore: il cuore guida con esperienza, non con forza.
L’Opera al Rosso porta alla compassione vera, quella che nasce dal riconoscere la sofferenza degli altri esseri, animali compresi. Il mangiare carne, a questo stadio, diventa difficile da accettare, come se ci si nutrisse di un cadavere. Non si giudica chi ancora lo fa, ma si comprende profondamente il dolore degli animali e si sceglie di non contribuire alla loro sofferenza. Io infatti nel mio mix delle Opere ho già raggiunto questo pezzo (mentre altri li ho ancora lontani da me), aprendo la mia casa ed il mio cuore all’amore incondizionato rivolto alle mie gattine ed ufficializzando il mio non mangiare carne ormai da anni, togliendo nel modo più etico e sensibile possibile tutti i salumi e derivati (l’unica ‘carne’ che mangiavo). Anche qui, nessun giudizio e nessuna imposizione, è stato tutto incasellato perfettamente. Ora come ora se dovessi vedermi un pezzo di carne o prosciutto nel piatto potrei veramente vomitare. La mia anima è collegata direttamente a quanta sofferenza quell’animale deve aver provato prima di essere maciullato spesso in un modo orribile, ma non può esistere che io dica qualcosa a chi ho di fronte se sta mangiando carne. Ognuno ha il suo percorso e l’interferenza non va mai bene. Però, ne sono convinta anche io che, dopo un tot nella scala evolutiva, la carne verrà abbandonata in automatico. Si prende anche coscienza che la Terra è un luogo dove domina la lotta per la sopravvivenza, ma si può trascendere questa legge naturale: “la natura vince la natura”, dice l’alchimia. Chi arriva a questo punto desidera non reincarnarsi più su questa terra, come affermava anche il Buddha, ma eventualmente su un piano superiore, non per fuggire, ma per continuare l’evoluzione in un luogo meno crudele.
La mitologia diventa una guida fondamentale, ma bisogna distinguere i miti originari, profondi e poetici, da quelli deformati dal patriarcato, che spesso perdono senso e bellezza. I miti antichi custodiscono una verità iniziatica che si può comprendere solo gradualmente.
Nel mito di Cerere e Proserpina, così come nei culti misterici di Eleusi e Samotracia, si celano simboli profondi legati all’anima e alla trasformazione interiore. L’Ade (Plutone), dio dell’oltretomba, non rappresenta solo la morte, ma anche ricchezza interiore e possibilità di evoluzione. Dioniso, figlio della Luna e della Terra, simboleggia l’istinto intelligente, trasformato e in alleanza con l’anima. L’alchimia, attraverso le sue fasi, promette un’evoluzione spirituale, ma non può cancellare le leggi della Terra: non esiste immortalità fisica, e chi la cerca non ha compreso davvero il percorso. L’unica vera trasformazione possibile è quella della coscienza. L’essere umano non può cambiare profondamente il mondo, che resta dominato dalla sopraffazione, dalla sete di potere e dall’egoismo. Anche i grandi sacrifici individuali non modificano la struttura di base della società. Le leggi, pur essendo un progresso, sono spesso seguite per paura, non per consapevolezza. Il rispetto vero nasce solo quando si riconosce l’altro come uguale a sé, e questa è ancora una rarità. La disuguaglianza globale, come quella tra paesi ricchi e poveri, mostra chiaramente che la vera evoluzione non è ancora avvenuta. L’uomo si è evoluto solo parzialmente, e molto spesso in modo apparente. Le informazioni sono controllate, la coscienza è ancora addormentata, e la compassione reale è ancora lontana dalla maggior parte delle persone. Spesso assistiamo a guerre e tragedie, come quelle in Siria o in altri paesi, restando indifferenti perché non colpiscono direttamente noi o i nostri cari. Eppure in quei luoghi si vivono drammi profondi, come la perdita violenta dei figli.
Dire che l’umanità si è evoluta è parziale e spesso una cazzata: i costumi possono cambiare, ma la consapevolezza personale raramente cresce davvero. La vera evoluzione è possibile solo a livello individuale e interiore, mai collettivo o imposto.
LA GRANDE OPERA (36)
L’autrice Gabriella Tupini riassume in questo video il tema della grande opera alchemica, composta da tre fasi: opera al nero, opera al bianco e opera al rosso. Si concentra in particolare sull’opera al nero, che rappresenta il primo e più doloroso stadio del processo interiore. Questa fase corrisponde al chakra Muladhara nello yoga ed è il momento in cui si affronta l’ombra: il dolore, le ferite del passato, le parti oscure rimosse dalla mente condizionata. La mente condizionata, sviluppatasi nei primi anni di vita per proteggerci, nell’età adulta diventa un ostacolo, perché ci impedisce di vedere la realtà com’è, spingendoci a reagire secondo vecchi schemi inconsci.
L’opera al nero è un processo di decondizionamento: implica rivivere e riconoscere le ferite dell’infanzia, in particolare il dolore per la mancanza di amore e accettazione. Se queste ferite non vengono viste e comprese, continuano ad agire sotto forma di dolore riflesso, portandoci a rivivere esperienze simili con persone sbagliate. È il meccanismo descritto da Freud come coazione a ripetere, dove cerchiamo di guarire simbolicamente il passato attraverso relazioni simili a quelle familiari, ma senza riuscirci. Questa fase richiede uno sguardo onesto su se stessi e, anche se la psicoterapia può aiutare, non sempre gli operatori sono in grado di accompagnare realmente in questo viaggio, se non lo hanno fatto prima loro stessi. Simbolicamente l’opera al nero è rappresentata da immagini alchemiche in cui il lavoro interiore si svolge in un forno (l’atanor), simbolo del fuoco trasformativo interiore, da cui emergono le distorsioni mentali che vanno poi trasmutate. L’obiettivo non è eliminare la mente, ma trasformare la mente condizionata per liberare la propria autenticità.
L’opera al nero prosegue con l’importante consapevolezza che, una volta tolta la mente condizionata, la mente ragionante funziona molto meglio. È un processo che si manifesta quando si inizia a non star bene interiormente, quando si cerca affetto in persone sbagliate o si è alla ricerca continua di figure genitoriali, segno di un amore carente nell’infanzia. Non si tratta di accusare i genitori, ma di comprendere come ogni essere umano funzioni e sia a sua volta figlio di traumi e condizionamenti.
L’alchimia afferma che la grande opera è “un lavoro da donne e da bambini”: le donne perché lavano, cioè purificano, e i bambini perché ancora non condizionati. Ritornare bambini significa spogliarsi dai condizionamenti esterni. L’opera al nero è la fase più dura e lunga, governata da Saturno, simbolo di morte e trasformazione. Affrontarla significa incontrare veramente la morte dentro di sé, non solo come concetto mentale, ma con un impatto emotivo profondo, come se si fosse davvero di fronte alla fine. Questo momento fa crollare la mente difensiva, rendendo possibile la sua trasformazione.
Solo chi ha il coraggio di mettere in discussione i propri genitori può affrontare l’opera al nero: è la “via regia”, la via dei re o degli eroi, che richiede una battaglia interiore autentica. Questo lavoro porta tristezza perché fa emergere quanto si sia mancato di amore, ma va compreso che anche i genitori erano vittime a loro volta.
Quando siamo piccoli sappiamo già tante cose, ma crescendo le perdiamo. Nell’opera al nero tutto questo deve emergere: i dolori, le mancanze, le illusioni, soprattutto legate ai genitori, anche se possono esserci altre figure. Gesù diceva che chi non si separa da padre e madre non è degno di lui, intendendo una separazione interiore. In molte culture del nord Europa i ragazzi a diciotto anni se ne vanno, ma non è sempre una scelta: è una pressione culturale che li spinge fuori casa, e chi non lo fa viene visto come malato o sbagliato. I genitori stessi non tollerano la dipendenza e i giovani si adattano, ma poi li vedi nei pub sbronzi, incapaci di contattare davvero l’altro senza alcol. In Australia, Inghilterra, Stati Uniti, accade lo stesso. Anche se l’istruzione è migliore e aiuta un po’ l’indipendenza, il lavoro interiore spesso manca. Andarsene fisicamente non basta, perché poi i genitori si proiettano in altri: il partner diventa il padre, l’amica la madre, il politico l’autorità a cui ci si affida.
L’opera al nero consiste nel liberarsi interiormente, non esteriormente. Solo se ci si libera davvero dai propri genitori, intesi come figure interiori, si riesce a sentirsi pari agli altri, senza subire l’autorità. Non è questione di smettere di voler loro bene o evitarli, ma di vederli per come sono stati davvero. L’opera al nero richiede di guardare con verità il proprio passato, riconoscendo come le persone si sono comportate con noi, senza giustificazioni né idealizzazioni. Solo comprendendo chi sono stati realmente i nostri genitori possiamo iniziare a comprendere gli altri e il mondo.
Gabriella conclude con una chicca, sottolineando quanto sia l’opera più importante in assoluto: quando si riesce a vedere la verità, si toglie la benda dagli occhi, e si entra nella fase conclusiva dell’opera al nero, ma proprio in quel momento compare un nuovo ostacolo, l’astrale negativo. È una forza oscura che cerca di impedirci di evolvere, provando a farci deviare con la paura, con l’inganno, o con la dipendenza. Si manifesta in modi diversi, nei sogni o nella realtà, e tenta di farci cadere. Ma se si mantiene la volontà di cercare la verità, si può resistere. L’importante è non lasciarsi attrarre da ciò che ci lusinga o spaventa. In genere, quando l’astrale compare, arrivano anche degli aiuti: persone o sogni guida che ci sostengono nel non cadere. Tutto passa attraverso la mente condizionata, quindi se essa crolla, l’astrale non ha più potere.