Ho incontrato le parole di Gabriella Tupini per caso, o almeno così sembrava. Ma subito mi sono resa conto che non si trattava affatto di un incontro qualunque. Le sue parole non si sono fermate al livello della razionalità, come fanno tanti discorsi che ascoltiamo e dimentichiamo in fretta. No. Le sue parole mi hanno attraversata. Hanno scavalcato le difese della mente e sono scese più giù, in zone dimenticate o appena accennate della mia anima. Zone dove qualcosa ha cominciato a vibrare, a risvegliarsi. Non è stato tanto un capire, quanto un sentire profondo. Un riconoscimento immediato. Come se quello che diceva non lo stessi ascoltando per la prima volta, ma lo stessi ricordando.
Da questa esperienza così intensa è nato il desiderio di raccogliere, riordinare, e portare alla luce i contenuti dei suoi video. In questo spazio, con lentezza e rispetto, riassumerò i suoi primi interventi proseguendo dall’ottavo all’undicesimo e cercando di restituire il nucleo vivo del suo messaggio, senza snaturarlo.
Ma non mi fermerò lì. Accanto ai riassunti, intreccerò riflessioni personali, esperienze, intuizioni e autoanalisi. Perché le parole di Gabriella non parlano solo in astratto: chiedono di essere incarnate. Voglio provare a farle passare attraverso di me, metterle in dialogo con la mia storia, con le mie ferite, i miei condizionamenti, la mia ricerca. Non come un esempio da seguire, ma come una traccia da percorrere insieme, se vorrete.
Questo spazio sarà quindi un doppio viaggio: dentro la voce di Gabriella e dentro la mia. Dentro un sapere che è insieme arcaico e attualissimo, e dentro il tentativo di viverlo oggi, nella concretezza del quotidiano. Perché sento che, se davvero vogliamo cambiare, dobbiamo partire da lì: da ciò che ci attraversa, non da ciò che semplicemente ci convince.
IL MONDO ABITATO DAGLI SPIRITI (8)
La natura naturans rappresenta l’aspetto invisibile e creativo della natura, quella forza generatrice da cui deriva il mondo visibile, ovvero la natura naturata, detta anche Mater Matuta. Quest’ultima è la natura manifesta: la terra, gli animali, i fiumi, gli esseri umani, tutto ciò che percepiamo con i sensi.
Nel pensiero religioso monoteista, il mondo invisibile viene generalmente negato o ridotto alla figura di un Dio Padre inconoscibile, come nella tradizione ebraica (Ein, Ein Sof, Ein Sof Aur). Questo Dio non deve essere raffigurato ed è molto distante dall’essere umano. La religione cattolica, pur vietando formalmente la raffigurazione, a volte la pratica, e introduce i santi come mediatori, più accessibili e umani rispetto al Dio remoto.
Nel politeismo greco-romano, invece, gli dèi erano raffigurati in forma umana, con tratti caratteriali ben distinti, rendendoli più vicini alle persone. Le statue venivano dipinte per sembrare vive. Il rapporto con la divinità era quindi più diretto e personale, come dimostrano le dediche nelle epigrafi romane, dove l’essere umano onorava il dio che si era dimostrato benevolo, quasi in uno scambio reciproco.
Nel monoteismo, soprattutto nella tradizione cattolica derivata dall’ebraismo, Dio viene rappresentato come onnipotente ma anche contraddittorio. È considerato buono, eppure permette il male, come nel caso di Giobbe, dove consente a Satana di metterlo alla prova distruggendogli ogni cosa, pur restando adorato. Questo mostra una fede basata sul timore più che sull’amore, e porta a un’immagine di Dio distante dal cuore e dalla comprensione umana.
Dio è visto come unico abitante dell’universo, affiancato solo da angeli e diavoli, anch’essi suoi creati, ma ritenuti responsabili delle loro scelte, come se fossero autonomi nel male. Questo solleva interrogativi profondi sulla coerenza del concetto divino: chi dà il libero arbitrio? Perché crea esseri che si ribellano? L’incongruenza teologica ha portato a centinaia di eresie nel cattolicesimo, segno della difficoltà dell’uomo di accettare dogmi irrazionali senza cercare alternative.
L’atteggiamento religioso è mutato nei secoli: l’Oriente spinge alla totale prostrazione, il cattolicesimo richiede preghiere continue e sottomissione, mentre i Romani si rivolgevano agli dèi con dignità, in piedi e a viso aperto. La divinità non invadeva ogni spazio della vita quotidiana, come invece accade oggi. L’uomo moderno sembra fanatico: non cerca Dio con spirito libero, ma si affida a ciò che gli viene imposto, rinunciando alla propria autonomia spirituale.
Nel monoteismo, soprattutto nella tradizione cattolica derivata dall’ebraismo, Dio viene rappresentato come onnipotente ma anche contraddittorio. È considerato buono, eppure permette il male, come nel caso di Giobbe, dove consente a Satana di metterlo alla prova distruggendogli ogni cosa, pur restando adorato. Questo mostra una fede basata sul timore più che sull’amore, e porta a un’immagine di Dio distante dal cuore e dalla comprensione umana.
Nel monoteismo, in particolare nella tradizione cattolica, si prega Dio costantemente - mattina e sera - per paura, non per amore: si prega affinché non distrugga l’umanità, come già avrebbe fatto in passato. Questo Dio viene considerato buono, ma si comporta come un sovrano severo, da temere.
Secondo questa visione, nell’universo esistono solo Dio, angeli e diavoli. Gli angeli, però, non possono avere sesso, perché sono puri spiriti. La Chiesa ha discusso anche di questo, non potendoli rappresentare come maschi (che indicherebbe potere) né come femmine (perché significherebbe riconoscere un’autorità alla donna). L’unica figura femminile ammessa è la Madonna, rappresentata come sottomessa e devota, mai potente o autonoma, creata per sostituire le antiche Dee pagane come quella di Efeso.
La religione cristiana non si è imposta per naturale diffusione ma con la forza: i pagani sono stati perseguitati e sterminati, obbligati a convertirsi pena la morte e la confisca dei beni. A differenza di culture orientali dove più religioni coesistono, in Occidente il cristianesimo ha annientato le religioni precedenti.
In questo contesto, la magia è diventata un crimine. È considerata peccato non perché sia realmente pericolosa, ma perché rappresenta un potere alternativo a quello religioso ufficiale. I sacerdoti non sanno praticare la magia, non ricevono istruzioni sul mondo invisibile, sono “di testa”, indottrinati rigidamente. Questo vale in tutte le religioni monoteiste, dove testi sacri scritti da uomini vengono presentati come parola di Dio e interpretati ossessivamente in modo da rafforzare il controllo religioso.
Il mondo è senziente, consapevole, intelligente. Gli antichi parlavano di correnti astrali, Jung dell’inconscio collettivo: entrambi indicavano una realtà non visibile ma dotata di intelligenza propria. È logico pensare che, se noi - creature del mondo - siamo intelligenti, anche ciò da cui proveniamo debba esserlo. Non avrebbe senso pensare che l’intelligenza possa nascere da qualcosa di sciocco o privo di coscienza.
La religione, invece, ha spesso trasmesso un’idea della natura come inferiore, istintiva e non razionale. Ma la natura, in realtà, è ciò che ci crea e ci sostiene. Senza di essa, non esisteremmo. L’atteggiamento di rifiuto del mondo naturale, come quello degli anacoreti o degli stiliti che si isolavano completamente dal resto dell’umanità, è un’estremizzazione patologica: non possiamo vivere separati dagli altri, perché la nostra vita psichica si risveglia nel contatto con l’altro.
Anche nell’arte si vede questo: l’arte figurativa, che rappresenta qualcosa di riconoscibile - una casa, un animale, un volto - risveglia emozioni nell’anima. L’arte astratta, invece, può stimolare emozioni solo mentali. Anche se qualcuno può emozionarsi davanti a un’opera astratta, si tratta di una reazione della mente, non dell’anima.
La mente ha la capacità di generare emozioni e contenerle. Più è ampia e libera dagli schemi, più può accogliere emozioni complesse. Nei sogni, spesso la mente viene rappresentata come un contenitore - una borsa, una pentola, una vasca - e perdere questo oggetto nei sogni può simboleggiare la perdita della propria struttura mentale.
La mente è il contenitore delle emozioni: più è libera, più può accoglierle, comprenderle e gestirle in modo sano. Quando invece la mente è rigida o bloccata, le emozioni la travolgono: possono portarci a scatti incontrollati, crisi di pianto, rabbia, o comportamenti impulsivi. Questo non è colpa, ma è un disagio profondo, segno di una consapevolezza ancora da sviluppare.
Davanti a emozioni intense e ingestibili, è utile chiedersi da dove provengano. Spesso non nascono dalla situazione attuale, ma affondano le radici nell’infanzia, in esperienze passate o in conflitti interiori tra ciò che ci è stato insegnato e ciò che sentiamo. È fondamentale non chiudere queste emozioni perché così non le comprendiamo, ma nemmeno lasciarle esplodere in modo incontrollato, perché così non le trasformiamo.
La chiave non è semplicemente “essere se stessi”, ma comprendere profondamente chi siamo. La consapevolezza di sé nasce dalla capacità di osservare, riconoscere e integrare le proprie emozioni.
OMOSESSUALITÀ E OMOFOBIA (9)
Questo è uno dei video che ho riprodotto di più in assoluto, un po’ perché mi rappresenta, ma gran parte per le verità miliari che ha al suo interno.
L’orientamento sessuale è un fenomeno complesso, che va distinto dall’istinto riproduttivo e che non segue regole rigide. A differenza degli animali, l’essere umano è sessualmente attivo anche al di fuori di un periodo fertile, e il desiderio non è necessariamente legato alla procreazione. Tutti gli individui portano in sé una componente indifferenziata, capace di innamorarsi al di là del genere.
Spesso l’orientamento seguito nella vita è influenzato dal contesto sociale e culturale. Nelle società antiche, come quella greca o romana, l’omosessualità era ampiamente accettata. È con l’avvento del cristianesimo che diventa un crimine, portando a punizioni estreme, anche psichiatriche.
L’orientamento sessuale non è rigidamente definito alla nascita, ma si manifesta nel tempo e in relazione all’ambiente. Ciò che deve rimanere inamovibile è il principio del rispetto: nessuno deve approfittarsi dei più deboli, in particolare dei minori. Ma tra adulti consenzienti e consapevoli, ogni forma di sessualità è lecita.
L’ostilità verso l’omosessualità è spesso legata a un’idea di superiorità del maschile sul femminile. Un uomo che si rende “passivo” in un rapporto viene visto come meno virile, e quindi inferiore, secondo una logica patriarcale distorta. Da qui nasce l’omofobia maschile più accanita.
La distinzione tra uomo e donna è reale, ma culturalmente viene amplificata e caricata di significati morali ed etici che vanno oltre la biologia. Questa divisione ha prodotto stereotipi rigidi e aspettative sociali che soffocano la libertà individuale, specialmente in ambito sessuale.
Molte persone, per conformarsi, si sposano e hanno figli pur sentendo un orientamento omosessuale. A volte un trauma può influenzare un cambiamento nell’orientamento, ma non è affatto l’unica causa. Esistono persone che scoprono o accettano la propria omosessualità in età adulta, o che la vivono fin da bambini. Non c’è un’età unica, né un percorso unico.
Ed a questo punto intervengo io sottoscrivendolo.
Delle persone che conosco (e non sono poche) non credo ci sia nessuno di completamente eterosessuale, ma al di là di questa generalizzazione, i più sono coloro che fanno finta di non essere omosessuali. Può essere palese per chiunque, ma non per loro, si fingono eterosessuali in una maniera come se io dovessi fingermi juventina, quindi molto improbabile. Le movenze, ma anche se non si muovono, lo stile nel parlare, il vestiario, persino il laccio della scarpa… tutto urla al mondo la loro omosessualità, ma non basta per farla uscire allo scoperto. La tengono sepolta fingendo che non sia così. I più hanno famiglia, si fingono padri etero e talvolta madri etero. Parlano di lesbiche e gay con quell’imbarazzo di chi ci è dentro fino al collo e non lo può dire o siccome detestano quel tipo di imbarazzo coinvolgente, lo spostano giudicando. È più facile dar contro ad un gay rispetto che ad una lesbica perché, come spiegavo meglio in un mio racconto precedente, il rapporto tra uomini nell’immaginario collettivo è più volgare, più forte, simbolo di sottomissione e non può esistere nella mente condizionata maschile una sottomissione simile.
Per me diventa sempre difficile rimanere in compagnia di persone del genere perché anche se capisco tutte le loro resistenze (pur essendo io lesbica dichiarata da sempre e quindi si può ben immaginare quanto abbia abbattuto le mie) non so mai con chi sto parlando. Chi arriva a rinnegare sé stesso ed il proprio orientamento, per un piacere comune, ha dentro una purezza macchiata dal giudizio che userà sicuramente contro l’interlocutore, in questo caso io. E infatti ogni volta che parlo con un palese omosessuale mascherato da etero e dalla sua finta vita da etero (che però lui giura e spergiura che sia reale) mi sembra un po’ di perdere del tempo perché mi ritrovo a parlare del nulla. Parlare del nulla per me significa tutto quello che è distante dall’autenticità. Dico quindi che preferirei parlare con un assassino consapevole di essere un assassino, piuttosto che comunicare con qualcuno che si finge chi non è. I discorsi ricadono nel banale perché tu che hai capito non puoi sempre asfaltare l’altro, essendo intelligente e capendo gli spazi di ognuno, e dall’altra parte riceverai sul piatto una serie di argomenti fasulli per tenere in piedi una conversazione che non ha senso di esistere. Quindi cosa faccio? Tendenzialmente cerco di tirare sempre l’acqua al mio mulino, un po’ più delicata di come faccio di solito, e dicendo cose o comunque facendo capire quanto sia indispensabile la vera libertà sia di espressione sia di costumi sia di orientamento, ma da chi non vuol vedere vengo fraintesa e respinta. Poco mi importa, il mio messaggio di libertà so che è entrato nel loro profondo e mi auguro sempre che una parte della loro anima pulsi per risvegliarsi.
Mi ricordo in particolare quando lavoravo in magazzino ed eravamo tutte insieme in una linea di produzione dove non dovevamo fare altro che imbustare i prodotti e lanciarli sul rullo. Su 40 donne almeno 30 erano omosessuali e di dichiarata c’ero solo io in quel reparto. Parlavano di marito e figli in quel modo innaturale, i commenti sugli altri uomini forzati perché dovevano fare le etero, il loro vestiario costruito perché mascherasse quella loro parte, le unghie con uno smalto semipermanente che non apparteneva proprio a loro, ma a tradirle era la luce negli occhi di come guardavano le altre donne, di come chiedevano e si incuriosivano della mia vita talvolta quasi tradendosi con le loro perplessità estreme. Lo capivo da quanto poco o zero sesso avevano fatto, da come non veniva loro spontaneo approcciarsi con il sesso maschile, dalle battutine che ostentavano per farsi sentire (come se volessero dire: ‘oh, ho fatto la battuta sul pene, mica posso essere una lesbica). Persino dal modo in cui mettevano l’etichetta sul pacco da spedire trasudavano omosessualità. Io ero il loro specchio, spesso mi chiedevano cose che si vedeva desideravano chiedere a loro stesse, ma chi per religione, chi per famiglia, chi per mentalità non avevano il coraggio di farsi. Mi permettevo di alzare l’asticella della confidenza dicendo quello che pensavo di loro solo quando non c’era un pubblico, per quanto io non abbia remore a fare domande o a ‘sparare sentenze’ in senso buono, non l’ho mai fatto rischiando di mettere l’altra in una posizione di imbarazzo davanti ad altra gente. A volte ricevevo pianti e conferme, altre volte risate ed insulti carini, altre volte ancora rifiuto totale, ma non mi importava, sapevo che non era una loro presa di posizione che andavo cercando. Mi immedesimavo ed immaginavo quanto potesse essere frustrante per il proprio corpo e per la propria mente dire di amare o toccare un corpo altrui per cui non provavano nulla. Quanto fosse quasi una violenza obbligarsi a farlo quando non veniva loro da farlo, ma idem come sopra, il mio messaggio di libertà trasmesso sia con la mia energia che con le mie parole era volto a colpire quegli angoli remoti della loro anima che sono sicura, se non in questa vita, magari nella prossima, usciranno allo scoperto per vivere finalmente unite in armonia con la propria natura. Dire poi ad una collega se suo marito fosse gay o sua sorella fosse lesbica era un altro paio di maniche, ma se fatto con delicatezza, e soprattutto con un sentire, non risulterà mai un’invadenza, ma un gesto di comprensione e di appoggio talvolta in grado di sviscerare il non detto.
L’idea che l’unione uomo-donna sia “naturale” e tutto il resto no è una costruzione sociale e religiosa. Le leggi che impongono la coppia eterosessuale come norma sono state scritte da uomini, non da una verità assoluta. L’argomento secondo cui “solo l’eterosessualità permette la riproduzione” è riduttivo: non tutto ciò che riguarda la sessualità ha come scopo la procreazione. L’umanità non è a rischio di estinzione per colpa della libertà sessuale: è più a rischio per l’intolleranza, l’ignoranza e la repressione.
L’idea che i bambini abbiano necessariamente bisogno di una madre e un padre è infondata: ciò che davvero conta per loro è ricevere affetto sincero. I bambini non fanno distinzione in base al genere o all’orientamento sessuale dei genitori; ciò che cercano sono persone che li amino.
E anche su questo non posso non esprimermi.
Ogni forma di amore è indispensabile per ravvivare l’animo umano e quasi portarlo in un’altra dimensione. Chissene frega avere due mamme, due papà o un padre e una madre. L’importante è essere circondati da amore, da quell’amore che ama vedere cosa fai, chi sei e quello che senti. Quell’amore che, visto come sta andando il mondo adesso, è praticamente inesistente. Si lotta fino ad ammazzarsi per impedire ad una povera creatura di avere due mamme o due papà, ma non si lotta mezzo minuto per salvaguardare l’amore vero. Che poi… magari due lesbiche manco li vogliono i figli. Io sto benissimo con le mie gatte ed avrò una casa sempre più invasata di gatti. Come magari altre lesbiche amano l’idea di avere figli ed una coppia etero no, quindi qual è il problema? Capisco che figure ecclesiastiche vogliano sempre l’ultimo paio di mocassini dorati ai piedi, però vedo sempre su Indeed tantissime ricerche di personale in un sacco di location medio - basse. Potrebbero fare riferimento a quello per farsi uno stipendio e riempirsi i cassettini di anellini d’oro, lasciando stare gli esseri umani che non vogliono fare altro che essere esseri umani. Strabiliante come si preferisca vedere un bambino abbandonato da una coppia etero rispetto ad un bambino amato in una coppia gay. Ma per quanto se ne parli, il mondo non è ancora pronto per questo, perché la maggior parte non vuole vedere tutto lo schifo che ha subito e… spoiler, i vs genitori erano tutti etero e guardare lo schifo subito significa far crollare la vaccata della famiglia tradizionale come nucleo protettivo. Non ho amici o amiche figli di genitori omosessuali e dio ce ne scampi, ma non ce n’è uno a posto. Sopravvivono, alcuni vanno a vedere cose, altri meno, ma alle spalle hanno sempre avuto o hanno ancora una mamma ed un papà, eppure stanno di merda. Spiegazione?
Il pregiudizio verso le coppie omosessuali nasce da condizionamenti culturali e da paure profonde, spesso inconsce, in particolare nei maschi. L’omofobia può essere legata alla paura di essere dominati o violati, specialmente in campo sessuale, che è percepito come un ambito molto intimo e delicato. Molti uomini omofobi hanno avuto padri severi o invadenti, ma tendono a rimuovere questi ricordi negativi dell’infanzia. Le parti più dolorose del passato vengono spesso cancellate dalla mente per proteggersi: chi non riesce a farlo rischia di soffrire seriamente o addirittura di crollare psicologicamente. La paura che le persone gay “ci provino” con gli eterosessuali è del tutto infondata. I gay non vanno in giro a infastidire gli altri, anzi spesso evitano proprio gli eterosessuali per non ricevere rifiuti o reazioni aggressive. Semmai è più comune che uomini eterosessuali infastidiscano le donne. L’omofobia, dunque, è alimentata più da fragilità interne che da reali minacce.
La paura di essere approcciati sessualmente da una persona omosessuale rivela spesso un disagio più profondo, legato a un genitore dominante – talvolta anche la madre, che in certi contesti assume un ruolo autoritario e legislativo tipico del padre. Questo tipo di educazione può lasciare un’impronta psicologica forte, generando timori legati al controllo e alla sottomissione. Esiste anche la paura di sentirsi “fuori natura”, di deludere i genitori o di non essere accettati socialmente. In molte zone del Sud Italia, ad esempio, i figli omosessuali spesso non rivelano il proprio orientamento per via del forte condizionamento familiare e sociale. In Italia, rispetto ad altri Paesi, la mentalità resta più rigida e il riconoscimento legale dei diritti LGBTQ+ è ancora limitato.
L’omofobia è spesso indice di nevrosi, evidente nell’aggressività e rabbia spropositate di chi la manifesta. Chi odia i gay senza motivo è chiaramente toccato interiormente da qualcosa che il loro orientamento rappresenta simbolicamente – magari proprio quel genitore normativo e invadente. Storicamente, in Grecia e a Roma l’omosessualità era accettata se non intaccava il ruolo dominante maschile: chi riceveva l’atto era socialmente inferiore. Questo si ricollega alla convinzione che la passività sessuale riduca lo status, un’idea ancora radicata nel maschilismo.
Quanto alla difesa della specie, oggi non avviene una selezione naturale come nel mondo animale. Guerre, epidemie o crisi riducono numericamente l’umanità, ma non la selezionano in base alla forza o intelligenza. Anzi, spesso ad avanzare nella società sono i più furbi o corrotti, non i più capaci o etici. L’umanità ha perso la logica del branco, tipica degli animali: non esistono più legami naturali forti, ma solo aggregazioni sociali gestite tramite leggi e controlli, non attraverso una vera coesione istintiva o comunitaria.
La condizione umana è un’anomalia nella natura: l’uomo ha imposto il principio del “più forte”, non con la forza fisica, ma grazie all’intelligenza e alla capacità di aggregarsi. Ha dominato gli animali, li ha usati come cibo, e sebbene ciò non sia in sé antinaturale – perché anche gli animali si cibano tra loro – chi intraprende un autentico viaggio interiore spesso smette spontaneamente di mangiare carne. Non per moralismo, ma per una trasformazione interiore della percezione della vita.
Il viaggio interiore consiste nel disfare la mente condizionata, quella costruita da schemi, regole e convinzioni imposte, per permettere alla mente naturale – razionale e limpida – di unirsi con l’anima sensiente, che include istinto ed emozioni autentiche. Questo processo è simile a una morte simbolica, chiamata per questo “morte iniziatica”. Non avviene all’improvviso, ma per fasi: si staccano poco a poco porzioni della mente artificiale fino a un punto di rottura, dopo il quale l’individuo percepisce il mondo senza più filtri mentali, come se uscisse da un’armatura o da una campana di vetro.
Ma questo cambiamento comporta dolore. Quando cade la mente condizionata, crollano con essa le illusioni che ci hanno protetto per anni. Se, ad esempio, si è vissuto nell’attesa che una relazione amorosa risolva tutte le sofferenze, arriva la delusione profonda nel rendersi conto che nessuno può curare ciò che è interno. Si attraversa quindi un periodo di “deserto”, una depressione priva di angoscia, dove si perde ogni speranza nelle illusioni del passato. Gli antichi lo chiamavano “valle desolata”, “attraversamento del deserto”.
Dopo questa fase però, comincia una rinascita. Le emozioni non arrivano più dall’esterno, ma emergono da dentro, in modo nuovo. Si percepisce la gioia profonda, non legata a eventi, ma alla connessione con la vita stessa. Si sviluppa una sensibilità più ampia: si sente il dolore del mondo, ma anche la sua bellezza. Le vie esoteriche, l’alchimia, le pratiche misteriche e perfino forme antiche di isteria spirituale indicavano tutte, in fondo, lo stesso cammino: la liberazione dalla mente condizionata e il ritorno a una coscienza più piena e reale.
Quando cade la mente condizionata, si sperimenta una morte interiore, ma non intellettuale: si percepisce dall’interno, senza più difese mentali. Ed è proprio in quel momento che comincia la vera gioia. Si riconosce il proprio valore come pari a quello di ogni altra creatura – “quanto una pianta del bosco” – e da lì nasce una profonda felicità, perché non si deve più nulla a nessuno, non si deve più apparire.
In questo processo cadono le maschere e le finzioni: si smette di giudicarsi, quindi non ci si guarda più da fuori ma si vive da dentro. E a quel punto, ciò che gli altri dicono o fanno non può più ferire, perché si ha certezza di ciò che si sente interiormente. Arriva un silenzio, una calma, e il mondo si rivela come pieno di vita, abitato, vibrante, anche nel male, ma comunque vivo. Il dolore della mente condizionata scompare.
Uno degli ostacoli principali all’evoluzione è l’omofobia, radicata in schemi culturali ossessivi. L’umanità è ossessionata dalla divisione rigida tra maschile e femminile, visibile fin dalla nascita con il nastro azzurro o rosa, e perpetuata in ogni aspetto, dall’abbigliamento ai ruoli sociali. Tentativi di superare queste distinzioni, come l’unisex proposto da Versace, falliscono perché c’è paura della confusione tra i sessi. Anche i capelli lunghi negli uomini suscitavano rabbia, perché da dietro “non si capiva se era un uomo o una donna”, a riprova dell’ossessione per una distinzione netta e visibile.
Ma se qualcosa esiste in natura – omosessualità, transessualità, travestitismo – allora è naturale. Il problema è che l’uomo, condizionato da regole esterne, si rende innaturale. Evolversi, che si segua o meno un percorso magico, richiede accettazione. Finché nessuno fa male agli altri, tutto ciò che esiste è lecito. E se questo ci porta “fuori dalla mente”, allora possiamo finalmente uscire dal castello della prigionia culturale e vivere liberi.
REALTÀ DELL’ANIMA (10)
Con questo video invece Gabriella è andata proprio a toccare qualche corda particolarmente sensibile del mio sentire. Ogni volta che lo sento percepisco un non-so-che muoversi sotto la mia pelle e riportarne il contenuto mi viene da farlo quasi in maniera celebrativa.
L’anima è ciò che ci anima, non qualcosa di astratto o invisibile come descritto dalla religione cattolica, ma un insieme vivo di emozioni e sentimenti, percepibile da chiunque. Non è solo presente negli esseri umani, ma anche negli animali, nelle piante, perfino nelle pietre: gli antichi lo sapevano bene, attribuendo all’universo un’anima diffusa e vitale. È stato poi il monoteismo a desertificare questa visione, separando il sacro dal mondo naturale.
L’anima è composta da più elementi: dall’istinto, da una parte della mente, e da una componente superiore che si manifesta nei momenti di crisi, svolta o forte evoluzione. Questa parte superiore dell’anima – che alcuni chiamerebbero divina o, in termini etruschi, la “Lasa” – non è condizionata dalle esperienze dolorose, conserva una connessione diretta con il cosmo e può guidarci attraverso sogni o stati di veglia profondi.
La mente ragionante ha una funzione protettiva e di discernimento, aiutandoci a scegliere cosa è più utile o opportuno senza ricorrere a schemi rigidi. Tuttavia, la mente condizionata – quella costruita dalle influenze esterne e culturali – limita l’anima, la rinchiude in una prigione simbolica, spesso descritta come un castello. Per liberare l’anima e permetterle di percepire pienamente, dobbiamo superare questa mente artefatta.
L’anima soffre quando è esposta a dolore, condizionamenti e chiusure, ma l’anima incontaminata, quella che comunica con l’universo, resta integra. Secondo la visione etrusca, la Lasa – figura femminile e alata – accompagna l’essere umano dalla nascita fino all’aldilà, a differenza dell’angelo cattolico, che si ferma alla morte. La spiritualità antica riconosceva una guida più continua e concreta, connessa al ciclo naturale della vita, e senza l’imposizione dei limiti morali e sessuali delle religioni successive.
L’anima è quella parte di noi che affronta ciò che viene dopo la morte, il cosiddetto locomorto. Ma questa consapevolezza profonda si manifesta solo dopo la caduta della mente condizionata. Finché restiamo intrappolati nei meccanismi mentali imposti dall’esterno – morali, religiosi, culturali – non possiamo realmente percepire cosa accade dopo la morte.
Tutto ciò che evitiamo di affrontare in vita – traumi, emozioni, verità scomode – ci si presenterà dopo la morte. Non però in termini di premio o punizione, che sono concetti umani, non divini. L’idea di un Dio che giudica come un genitore – buono o cattivo – è un’invenzione delle religioni per esercitare controllo. È il potere che ha creato il meccanismo di paura e speranza: “fatti bravo per andare in paradiso”, “non peccare per non finire all’inferno”.
In realtà, l’universo è vasto oltre ogni immaginazione. Noi siamo un nulla nel mare delle galassie, eppure ci siamo convinti che un Dio onnipotente guardi solo noi. Questa visione antropocentrica è una costruzione artificiale, che serve a giustificare dogmi e istituzioni.
Le religioni monoteiste hanno riempito l’aldilà di promesse e minacce: il paradiso, l’inferno, il purgatorio, le vergini promesse, l’eterna contemplazione. Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con una reale evoluzione interiore. L’anima, invece, è legata a un cammino di consapevolezza e trasformazione. Dopo la morte, affronta ciò che è rimasto irrisolto, non per essere punita, ma per continuare a evolversi.
L’anima è ciò che ci anima, la parte più profonda e sensibile di noi, ed è composta da istinto, emozioni, mente e una componente superiore che resta incontaminata, collegata al cosmo. L’anima si può nutrire e rafforzare durante la vita, soprattutto quando le emozioni sono coinvolte: il cervello registra ciò che ci emoziona, non ciò che memorizziamo meccanicamente. Ed è proprio attraverso le emozioni e la consapevolezza che possiamo sviluppare nuovi collegamenti tra i neuroni, mantenendo viva e attiva la mente.
Ciò che non affrontiamo in vita, riaffiora in morte. I traumi rimossi, le emozioni ignorate, tutto si ripresenta. Questo è noto anche nel momento in cui si rischia di morire, come durante un annegamento: molte persone riferiscono una ricapitolazione della loro vita, una sequenza veloce di tutto ciò che è stato emotivamente rilevante. È come se l’anima volesse raccogliere il senso di ciò che ha vissuto: un “seme d’oro”, simbolo della propria essenza più autentica.
Secondo un’antica leggenda italica, la tomba di Saturno – dio del tempo – è sepolta nel Lazio. Chi riesce a trovarla, trova il seme d’oro, cioè la propria vera essenza. Saturno, nella mitologia, rappresenta il tempo e la morte, e la sua tomba rappresenta il contatto profondo con la verità della nostra esistenza: il riconoscimento della morte. Ma per arrivarci bisogna far cadere la mente condizionata, quella costruita da schemi, norme e paure inculcate. Quando questa mente cade, vediamo finalmente il mondo com’è davvero.
Nel momento in cui questo accade, il mondo si rovescia – come in certi sogni dove il cielo è sotto e la terra sopra – e appare nella sua autenticità. L’anima, se coltivata e non soffocata, sboccia. Al contrario, può anche inaridirsi e morire, se passiamo la vita chiusi nella mente, rinunciando alla sensibilità, all’emozione, al contatto con l’essere. In quel caso, alla morte, l’anima si distrugge, non perché venga punita, ma perché si è già spenta. Ma finché c’è vita, c’è possibilità di recuperarla. Anche secondo i Romani, la speranza era l’ultima dea: finché viviamo, possiamo ancora ritrovare la nostra anima.
La depressione è la perdita totale della speranza, l’assenza di energia vitale. È la sensazione di non poter più conquistare nulla di buono, di non poter più essere amati. E poiché la speranza è l’alimento essenziale dell’anima, quando essa manca, tutto si spegne. L’anima, che ci viene data in forma potenziale, può evolversi o regredire a seconda del nostro comportamento e delle influenze ambientali. Anche se regredisce, è possibile recuperarla da adulti. Ma se continuiamo a reprimerla e chiuderla, possiamo arrivare a distruggerla, diventando gusci vuoti mossi solo dalla mente razionale e da desideri di potere. Il potere, in questo contesto, è negativo perché distrugge l’anima. Senza anima, non rimane più nulla: né inferno, né paradiso, né reincarnazioni. Solo una dispersione nell’universo, in forme di vita meno animate, meno consapevoli.
L’essenziale non è tanto la bontà, ma la consapevolezza. Spesso il male nasce dal dolore, dalla ferita, dal non essere stati visti, accolti, rispettati. E il problema più grande è che quasi tutti noi tendiamo a coprire, dimenticare, negare il male subito dai genitori. Facendolo, rinunciamo però anche a tutte quelle energie vitali legate a ciò che abbiamo represso: la parte giocosa, viva, spontanea di noi stessi. Senza energia, non possiamo vivere davvero.
Quest’ultimo pezzo è il nodo chiave del video… mi commuove perché riesco proprio a vedere come la mia consapevolezza abbia preso piede e com’era disarmante per me capire quanto a mio padre fosse indifferente il mio modo di vivere. Dovevo comportarmi bene, punto. Non dovevo dare fastidio, punto. Dovevo andare decentemente a scuola, punto. Chissene frega se 6 o 10, basta che non era 5 e mezzo. Chissene frega se terza media o master universitario, basta che mi mantenevo da sola. Chissene frega se amavo giocare a calcio, non ci credeva abbastanza e quindi non andava visto. Mi immaginavo già da piccola madre di me stessa e pensavo di essere una bambina piena di risorse perché mi innamoravo spesso di cose (graffiti, scritture, film, serie, programmi, giochi) ed ero sempre disposta a mettermi in gioco ed imparare, però notavo che non serviva. Anzi, quasi annoiavo. Nella versione madre di me stessa mi dicevo sempre che se avessi avuto una figlia come me mi sarei divertita un mondo a scoprire tutto quello che aveva (avevo) in testa, tutti i suoi (miei) pensieri contorti, tutte le sue (mie) teorie… invece lui no. Lui non solo non si impegnava a farlo, ma cercava di spegnere la mia creatività peggio di quanto avesse già fatto la scuola. Ricordo come se fosse ieri che una volta di nascosto ho provato ad attaccare un poster di Alice in Wonderland alla parete con pochissimo scotch, sapendo la sua fissa per i muri, e mi ha scaraventato come se la mia fosse una mancanza di rispetto. Ma la mia camera (avuta solo a 17 anni, prima dormivo o nella stessa sua o sul divano, essendo la casa precedente molto più piccola) era asettica e non la sopportavo così vuota. C’era solo un cazzo di letto ed un armadio ed ogni volta che glielo facevo notare mi diceva: ‘cara grazia, certi ragazzi non hanno nemmeno questo, nemmeno io potevo attaccare niente ai muri.’ E con questo io avevo capito tutto. Lui non mi voleva libera, felice, o spensierata. Lui voleva crescermi nella privazione com’era cresciuto lui, però aveva una punta di invidia per quella ribellione che io gli riservavo. Ribellione che lui non era mai stato in grado di donare ai suoi. Dopo il fatto del poster mi ero innervosita così tanto per quella camera bianca (non potevo nemmeno scegliere il colore alla parete perché doveva essere bianca) che ho tappezzato la camera di roba. Ovvvvvviamente le ho prese da dio, ma ormai il muro era tutto impataccato e quindi ho potuto tenermi i poster. Altri sono stati strappati da lui, ma giusto poco tempo dopo subito rimpiazzati. Immedesimandomi… a mia figlia avrei fatto attaccare qualsiasi roba ai muri, se si fossero rovinati avremmo poi ridipinto insieme e sarebbe stato bellissimo.
Alla morte, tutto ciò che abbiamo rimosso ritorna. Tutti i nodi che non abbiamo affrontato si ripresentano. E insieme ad essi, appaiono creature legate all’energia dell’essere umano, alcune costruttive, altre distruttive. Per ora, è utile considerare tutto questo come un’ipotesi da tenere da parte: se nel tempo comincerà a risuonare con la propria esperienza, allora potrà aprire nuove porte.
Molti scritti esoterici contengono indizi su questo cammino interiore, ma spesso sono oscuri, criptici, perché nel passato la Chiesa condannava queste ricerche, considerandole diaboliche. Perciò venivano codificate sotto forme simboliche, come nel Mutus Liber, il libro muto, fatto solo di immagini. L’autrice racconta che ha potuto capire questi simboli solo dopo la caduta della mente condizionata. Prima le sembravano incomprensibili. Ma capì almeno che esisteva un’altra via, diversa da quella imposta dalla religione ufficiale. Una via più viva, più umana, più vera. E che alcuni, in passato, avevano percorso e cercato di lasciare in eredità, seppur in modo misterico e velato.
Nei suoi anni di ricerca, ha trovato segni del percorso interiore anche in luoghi inaspettati: chiese, castelli, palazzi. Alcuni pittori antichi, soprattutto nei Cristi trecenteschi, lasciavano simboli nascosti, come il Sole e la Luna ai lati del Cristo crocifisso. Il Cristo si colloca al centro: tra il Sole, simbolo della mente razionale e cosciente, e la Luna, simbolo dell’anima. Ai suoi piedi, spesso, appare un teschio con del sangue che gocciola sopra: il cosiddetto Adamo. Per gli alchimisti questo rappresentava l’uomo morto dentro di noi, l’essere interiore spento, che può essere ravvivato solo dal sangue del Cristo, cioè dalle emozioni profonde. Il Cristo alchemico diventa simbolo di trasformazione interiore, di rinascita dell’anima attraverso la sofferenza e la consapevolezza.
Questo processo è ostacolato dalla mente condizionata, che chiude le porte interiori. È un concetto fondamentale, alla base della vera magia. La magia maschile è mentale e strutturata: fatta di cerimonie, formule, simboli, parole sacre. Quella femminile è più semplice, legata all’istinto, ma a un istinto intelligente, non cieco. L’istinto, infatti, nasce intelligente, ma nel tempo viene corrotto. Recuperarlo nella sua forma autentica è parte del cammino.
GLI DEI PAGANI (11)
Gli dèi pagani, così chiamati dalla Chiesa Cattolica in tono dispregiativo, erano in realtà divinità venerate nei pagus, ovvero nei villaggi, e rappresentavano una varietà di credenze locali, spesso profondamente radicate nella terra e nella vita quotidiana. La religione romana ufficiale si ispirava in parte ai greci e agli etruschi, ma sul territorio italico esisteva una miriade di divinità diverse, spesso legate a elementi naturali o a specifiche funzioni, come la dea Cupra o la dea Mephiti. Il culto romano era molto pratico: non esisteva fanatismo, ma un rapporto di scambio con il divino, senza sacrifici estremi o rinunce autodistruttive.
La domanda centrale diventa quindi: gli dèi esistono davvero? Secondo Plutarco, gli uomini sono più potenti degli dèi, perché possono crearli attraverso la forza collettiva della loro fede e delle emozioni. Questa idea non nega l’esistenza degli dèi, ma ne cambia la natura: non sono creatori assoluti, ma entità nate dal sentire umano, che acquistano realtà nel mondo sottile grazie alla potenza della mente e dell’anima collettiva.
Secondo Bertrand Russell e gli alchimisti, lo spirito è una forma di materia più sottile, non qualcosa di sovrannaturale ma parte della natura stessa. Gli uomini, credendo intensamente, possono dare vita a esseri spirituali reali, non nel senso materiale ma nel senso energetico e simbolico. Queste entità, una volta esistenti, possono a loro volta influenzare il mondo umano. È un processo reciproco tra ciò che sentiamo e ciò che si manifesta.
Noi siamo nutriti dal mondo astrale e allo stesso tempo lo nutriamo. Questo è uno dei misteri fondamentali della magia. L’astrale è quel livello dell’esistenza che non percepiamo con i sensi fisici: è un luogo invisibile per noi, privo di luce apparente, ma non per questo vuoto. Lì si muovono energie, entità, forme pensiero, e perfino gli dèi, che vengono creati o alimentati dalla coscienza collettiva umana attraverso emozioni, rituali, pensieri e credenze. Più un’umanità crede in un dio, più quel dio prende forza, forma e autonomia nel piano sottile.
Nel mondo romano, questo meccanismo era noto e naturale. Ogni luogo, villaggio, o pagus aveva le sue divinità, spesso dee madri, antichissime, connesse ai cicli della natura. Il politeismo non imponeva esclusività né fanatismo: era una religione pratica, inclusiva, che conviveva con molte altre credenze. Ma con l’arrivo del cristianesimo e soprattutto con il suo affermarsi come religione di Stato, la coesistenza fu spazzata via con brutalità. La religione cristiana non voleva aggiungersi al pantheon: voleva cancellarlo. Gli altri dèi non erano semplicemente ignorati, ma dichiarati falsi, demoniaci.
La repressione fu violenta: furono emanate leggi che punivano con la morte, l’esilio e la confisca dei beni chiunque praticasse culti pagani. Anche solo pregare nei pressi di un tempio distrutto diventava reato. Venne avviata una sistematica distruzione di statue, immagini sacre, luoghi di culto. L’arte greco-romana, che oggi consideriamo un tesoro, fu in parte annientata. E i pagani, anche se ufficialmente scomparsi, continuarono per secoli in segreto, specialmente nelle campagne. Si rifugiavano nei boschi, costruivano piccoli santuari nascosti, mantenevano vivo il contatto con gli antichi dèi, spesso trasmesso da donna a donna. Fu questa resistenza a far infuriare il potere ecclesiastico, al punto da giustificare la creazione della Santa Inquisizione.
In quel contesto, gli dèi pagani furono trasformati in demoni, le sacerdotesse in streghe, e le pratiche spirituali ancestrali furono bollate come eresia. La donna, custode della spiritualità più antica e profonda, fu particolarmente colpita. Perché era lei a tramandare i culti, a custodire la memoria, a mantenere viva la connessione con l’astrale. Ed era proprio quella connessione, così spontanea e incontrollabile, che il potere religioso voleva spezzare.
La perdita del legame con l’anima ha portato, storicamente, a un predominio assoluto della mente condizionata, e la Chiesa, nel corso dei secoli, ha sfruttato questo squilibrio. Con la lotta all’eresia e la demonizzazione delle antiche spiritualità, si è passati a una vera e propria persecuzione del femminile, dell’intuitivo, dell’animico: le streghe, i guaritori, i custodi dei culti antichi sono stati sterminati. La paura del demonio e della dannazione eterna è stata usata come strumento di controllo, e così il Medioevo ha conosciuto una lunga stagione di terrore e follia collettiva, in cui bastava un sospetto per essere messi al rogo. La Chiesa nega l’entità di questi crimini, riducendoli a casi isolati, ma in realtà furono milioni le persone perseguitate.
Con questo terrore sistematico, si è ottenuta la conversione di massa. Ma gli dèi pagani non sono veramente morti: esistono ancora come entità, anche se molto indebolite dal venir meno del culto. Perché, come per tutte le entità dell’astrale, senza nutrimento—cioè senza pensiero, preghiera, rituale—si affievoliscono, ma non scompaiono. Anche la religione cattolica esiste come una potente entità astrale collettiva, tanto che può manifestare effetti concreti, come miracoli. Ma questo vale per tutte le divinità: in ogni civiltà, i loro dèi hanno fatto miracoli, perché le entità create o alimentate dall’anima collettiva possono influire sul piano materiale, nel bene o nel male.
A questo proposito, è fondamentale distinguere tra sacrificio spontaneo e sacrificio imposto. Il sacrificio per amore, per la salvezza altrui, è un atto nobile. Ma il sacrificio richiesto da una divinità—o peggio, da un’entità dell’astrale spacciata per divina—è un segnale pericoloso. Esistono energie nell’astrale che si nutrono di sofferenza e spingono i più sensibili, come i medium, a identificarsi con una falsa idea di “chiamata divina”, portandoli alla distruzione. In alcuni casi, queste persone diventano fanatici, si sentono eletti, e sviluppano un odio profondo per il mondo e per gli altri, come accade a molti santi patologici. Questo non è spiritualità autentica, ma possessione astrale.
La figura di Giovanna d’Arco viene interpretata come simbolo tragico di una possessione da parte dell’astrale negativo: una giovane convinta di agire per volontà divina, che invece finisce consumata dal sacrificio estremo richiesto da un “dio” che si nutre di sofferenza. Questo tipo di divinità non è positiva: un’entità realmente evoluta non chiede dolore, così come un genitore sano non vuole la sofferenza dei propri figli.
La religione cristiana, e in particolare il concetto del sacrificio di Gesù, viene letta come frutto di un’astrazione mentale pericolosa: Dio, figura onnipotente, per salvare l’umanità decide di far morire suo “figlio”, che in realtà è parte di sé. Un gesto che, messo in termini razionali, appare come masochistico e insensato. Le religioni monoteiste, in questa lettura, non si basano su buonsenso o empatia, ma su logiche di potere e controllo mentale. E proprio per questo, secondo l’autore, sono spesso intrise di crudeltà.
Nel mondo sottile, o astrale, le entità vivono e si rafforzano grazie al pensiero e alle emozioni degli uomini. Ma bisogna distinguere: se l’emozione è amore, rispetto, armonia, allora si genera un’entità positiva. Se è paura, fanatismo, rabbia o bisogno di controllo, si alimentano entità negative. Un dio creato dalla mente è pericoloso perché riflette la struttura gerarchica, escludente e spesso violenta della mente condizionata. È per questo che le religioni basate sul dogma e sul sacrificio fisico sono considerate manifestazioni di un astrale oscuro.
La Bibbia stessa, nell’Antico Testamento, mostra un Dio geloso e crudele, che ordina stermini e punizioni atroci, come la distruzione di intere città e la morte per oro fuso. Queste immagini non rappresentano il divino evoluto, ma energie astrali inferiori che si nutrono di dolore.
Tuttavia, gli dèi pagani – quelli antichi, connessi con la natura e con il sentire umano – sono ancora presenti in alcune pratiche, anche se molto indeboliti. Non chiedevano vittime, ma offerte simboliche: vino, erbe, incenso, latte. Offerte senza violenza. Ed è questo il suggerimento finale: se vogliamo coltivare un rapporto con il sacro, evitiamo il sacrificio sanguinario o la sofferenza imposta. Offriamo bellezza, gratitudine, consapevolezza. Solo così il Numen, cioè il principio divino vitale e benefico, può vivere e sostenerci.